RED HOOK CRIT LONDON RACE REPORT - ASH DUBAN

person Pubblicato da: Santini Sopra:

Entra dietro le quinte di una delle gare più emozionanti su due ruote con lo sguardo della Campionessa della Red Hood Crit 2016. Ash Duban ci accompagna attraverso il suo viaggio a Londra  e ci fa vivere giorni precedenti alla gara dalla prospettiva di una Campionessa.

Entra dietro le quinte di una delle gare più emozionanti su due ruote con lo sguardo della Campionessa della Red Hood Crit 2016. Ash Duban ci accompagna attraverso il suo viaggio a Londra e ci fa vivere igiorni precedenti alla gara dalla prospettiva di una Campionessa. Mercoledì 19 Luglio – 18:30. Disegno una figura di bastone su un post-it per fare ridere il mio vicino di posto – mentre giocavamo a Pictonary su un volo di 9 ore e mezza della British Airways da Austin a Heathrow per la terza edizione del Red Hook Crit di Londra. Avere un volo diretto dopo una lunga giornata di lavoro al Frog Design è una benedizione, come passare del tempo giocando con il mio nuovo amico. Quando viaggio mi porto sempre una penna e un block notes – adoro conoscere nuove persone e pictionary è sempre un bel modo per rompere il ghiaccio e conoscere qualcuno. Dopo aver giocato ho dormito alcune ore. Mi sveglio solo all’atterraggio a Londra.

Giovedì mattina, 20 Luglio – 9:30- Grazie alle 6 ore di differenza di fuso orario, arriviamo a Heathrow alle 9.30 di mattina. I miei amici Sammi e Tristan di Austin erano sullo stesso volo, e recuperiamo insieme i nostri bagagli e le bici. Partiamo poi alla volta di Greenwich, dove soggiorneremo. Fortunatamente ho trovato un appartamento a meno di un km dalla gara. La vicinanza al luogo dell’evento è un fattore fondamentale considerando il programma intenso delle gare femminili: comprende allenamento, qualificazioni, super pole e l’evento principale. Avere il lusso di avere un luogo confortevole dove riposarsi e riprendersi tra un’attività e l’altra è sicuramente un vantaggio competitivo. Dopo un breve pisolino, facciamo la spesa e poi preparo la cena per i miei amici. Venerdì 21 Luglio – Open track Day – La Crit organizza un open day presso Herne Hill Velodrome, uno dei velodromi più vecchi al mondo. Jeme Hill è stato aperto nel 1891 e ha ospitato le olimpiade estive nel 1948. Dopo aver girato per i sobborghi di Londra a bordo di un taxi, l’autista ci ha lasciato vicino ad una via non segnalata e ha detto “Ci siamo!”. Mi guardo attorno, ma non vedo nessun segno del velodromo. “Sei sicuro che l’indirizzo sia corretto?” mi chiede Bjoren, il mio amico fotografo tedesco, un uomo tarchiato e loquace, che si porta con sé 40 kg di attrezzatura fotografica, guardando il suo telefono cellulare. Google mostra il velodromo nelle vicinanze. Seguiamo una piccola stradina, nascosta tra case ed alberi, insicuri sul fatto che fosse la strada giusta da prendere. Dopo 100 metri in un’ombrosa stradina, simo arrivati ad un muro semi-scrontato sul quale si poteva scorgere la scritta “Heme Hill Velodrome”. Costeggiamo il muro, che presto si rivela essere una gigante pista di 450 m, una sorta di giardino segreto per ciclisti. Devo ammettere, piena d’invidia, che mi piacerebbe inciampare in un luogo così ad Austin….

Sabato 22 Luglio – Race day 10.00 – Mi sveglio sotto un cielo carico di nuvoloni grigi e sospette previsioni meteo e preparo un caffè mentre Bjoern esce, pronto per scattare foto.

11.45 – La pista apre nel pomeriggio, per cui mi vesto, indosso la mia giacca da pioggia e mi incammino per raggiungere il luogo della gara. Un gruppo misto di uomini e donne sono pronti sulla linea di partenza, per fare alcuni giri prima che le nuvole si aprissero e la pioggia inondasse la pista. La gara è simile a quella dello scorso anno, 950 metri, 8 giri, una corsa tecnica e veloce, ma con un’ulteriore sfida: corriamo nella direzione opposta! Questo cambiamento è stato necessario dopo gli incidenti accaduti alla RHC a Londra nel 2016, che mi hanno toccata in prima persona. Nelle qualificazioni dello scorso anno a Londra, infatti, ho curvato troppo velocemente e sono scivolata. Il mio petto ha battuto sulla barriera e sono scivolata, atterrando sul suolo . Cercavo disperatamente di respirare, ma mi mancava l’aria, quasi come fossi atterrata su Marte. Mente ero a terra e Ashley Faye batteva la testa, dicevo a me stessa “ecco come ci si sente quanto si rompono le costole. La gara è finita.” Qualche minuto dopo il dolore si è attenuato e riuscivo a respirare un pochino meglio. Quest’anno, il cambio di direzione rende questa parte di gara molto più semplice per me, grazie ad una leggera salita prima della curva che abbassa la velocità. Dieci minuti dopo l’inizio della sessione la pioggia ci sorprende, così torno all’appartamento per riposarmi.

14:30 Prima della corsa per le qualificazioni, mi metto sui rulli e inizio a riscaldarmi per la qualificazione. Sono seconda batteria (di 2) con Dani King (Medaglia d’oro olimpica, 3 volte Campione del Mondo e Vincitrice della RHC Londra 2016), Colleen Gulick (Elite Track Cyclist, multi-time US National Champion, vincitrice della RHC Brooklyn 2017) e molte altre atlete. La pioggia continua a scendere ininterrottamente, tuttavia non riesce a calmare la tensione e l’ansia palpabile della trentina di donne in attesa della gara. Il silenzio viene rotto dal fischio . L’aria diventa immediatamente fredda e in una manciata di secondi la ruota mi ha già sporcato i vestiti e il sapore di acqua sporca mi pervade bocca. Le costruzioni nelle vicinanze hanno causato la formazione di pozze piene di fango sul percorso. Le ragazze sono tutte veloci, ma stiamo in gruppo dal momento che nessuno vuole dare il massimo prima della finale. Sono convinta di poter arrivare al Super Pole, dove 10 top riders qualificati nei vari gruppi gareggiano per la pole position. Specialmente dopo lo scorso anno, non sono pronta a prendermi dei rischi assolutamente non necessari. Dopo circa 30 minuti di pedalata nel fango stringo i denti, sentendo i granelli di sabbia e di sporco e supero il traguardo in quinta posizione per avanzare al Super Pole. Le condizioni meteorologiche tuttavia si rifiutano di collaborare e il Super Pole viene cancellato. Una bella notizia per me! Il calendario della RHC Londra mette a dura prova le concorrenti. Cancellare il Super Pole ci concede un attimo di respiro, per indossare vestiti asciutti prima della gara principale.

19.00 La gara principale/ 28 giri – Sono alla linea di partenza, intirizzita e con le braccia strette attorno alla vita. Cerco di scaldarmi, dal momento che la pioggia e vento non ci danno tregua. Io e le altre 62 donne alla linea di partenza siamo circondate da decine di fotografi che cercano di immortalare il momento. Guardo a terra – posizione di partenza numero 13. “Sarebbe stato meglio se avessero spruzzato il numero al contrario” penso tra me e me. Durante le gare è tradizione per chi parte in posizione 13, capovolgere i numeri, nel tentativo superstizioso di scongiurare la sfortuna. I fotografi vengono fatti spostare e noi siamo obbligate a toglierci l’antipioggia, dal momento che la gara sta per partire tra un minuto. “30 Secondi!” L’organizzatore della gara David Trimble urla sopra gli altoparlanti. Poi, una lunga pausa. 10, 9, 8…la folla inizia a urlare e a battere sulle barriere ai bordi della gara…3,2,1…VIA! Partiamo. Sto vicina al gruppo davanti, voglio guadagnare posizione, così posso reagire se succede qualcosa. Qualche giro e riesco ad uscire dal secondo turno e sento qualcuno che colpisce forte dal dietro la mia ruota posteriore. Vengo spinta fuori dalle barriere e un secondo dopo sento il suono stridente del carbonio e del metallo. Fortunato numero 13! Sono riuscita a restare in sella e ad evitare sia le barriere sia la massa di corpi a terra. Il ritmo si fa più intenso, mente l’incidente ha diviso il campo a metà. Iniziamo a correre in fila, aumentando il ritmo. Solo un momento dopo arriviamo alla curva finale. I commissari sventolano le bandierine gialle per l’incidente. Penso che la gara venga fermata, dal momento che non c’è verso di spostare velocemente chi è caduto. Mentre stiamo per fare il secondo giro vedo alcune persone che sono ancora a terra con i medici. Ma la gara continua. Dani King cerca di staccare il gruppo, ma con tutti gli occhi puntati su di lei non riesce a sfuggire alle altre contendenti. Alcune tentano l’attacco, ma senza la forte presenza di un team nessuno vuole sprecare energie. Continuo a sperare che la gara si muova e un piccolo gruppo avanzi, ma non succede. I giri scorrono e inizio a rilassarmi. Sono stata paziente per la maggior parte della gara, facendo solo qualche attacco. Voglio vedere come era essere davanti, affrontando tutti quegli angoli scivolosi, tuttavia mi piace non rallentare a causa degli atleti davanti a me. La sensazione di prendere le curve ad alta velocità è estremamente piacevole, l’ambrosia dell’adrenalina direi. Mi metto in piedi sui pedali e spingo forte per passare sulla linea di partenza, prendendo velocità. Tutta la strada è mia mentre chiuso il secondo giro. La folla continua a tifare e dare ritmo picchiando sulle barricate. Guardo indietro e vedo Dani King a ruota, ma sono riuscita ad aprire un piccolo spazio tra di noi. Sto davanti per due giri, sperando che qualcun'altra prenda l’iniziativa. Nessuno lo fa, così rallento e rientro nel gruppo. Mancano tre giri alla fine e penso “muoviti, muoviti!”. Al culmine della gara, dopo il quinto giro, prendo in pieno una familiare pozza piena di fango. Una piccola buca, non più grande di quelle che ho preso almeno 25 volte, ma stavolta è diverso. Sento un suono sordo e per nulla rassicurante.

Mi siedo sulla sella e sento che la ruota posteriore sobbalza sulla strada. Guardo indietro e vedo che ha pressione. Molta pressione. Pedalo all’indietro ed esco dal gruppo. Non riesco più a stare con i leader ma voglio finire la gara, a costo di macinare i cerchi in carbonio o trasportare la mia bici sulla finish line!.

Non voglio rischiare di causare un incidente o cadere io stessa, quindi mi posizione dietro al peloton e continuo per la mia strada per gli ultimi due km. “Lo posso fare, lo farò” continuo a ripetermi. La ruota posteriore ha perso completamente pressione, posso sentire ogni dettaglio della strada come se scorressi la punta delle mie dita su di essa. Fortunatamente, essendo la ruota posteriore, posso farlo. Se fosse quella anteriore non avrei abbastanza controllo per finire la gara e dovrei ritirarmi. Mantengo la velocità costante e il pubblico continua a sostenere il mio spirito. Quando entro nell’ultimo giro vedo ancora bandiere gialle. C’è stato un altro incidente nello sprint finale e vedo Carla e un’altra ragazza a terra, ma fortunatamente non sono molto ferite. Taglio la finish line in 17esima posizione su 62 donne, con la mia pelle intatta. Non sono ancora certa se il 13 mi porti fortuna o sfortuna, ma sono davvero orgogliosa di tagliare il traguardo viste le circostanze. Non vedo l’ora di gareggiare a Barcellona e a Milano per salire sul podio!

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