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Verranno al contrattacco con elmi ed armi nuove, cantavano i CCCP. Questa tappa, duecento chilometri di noia per salutare in volata l’Ungheria, alla fine premia ciclisti armati di coraggio e fantasia. Festeggia Davide Formolo la sua prima maglia rosa, indossata sopra alla maglia tricolore. Il “secchione della Valpolicella” sta maturando bene, anno dopo anno, come l’amarone della sua cantina. Va bene a tutti, va bene anche a Nibali, che si ritrova qualche rivale un po' più distante rispetto a ieri. Come dice sempre quell’asino di Bruseghin: «Tappa vallonata, tappa da comanche».

L’agguato prende corpo a ora di pranzo, in una cittadina al cui nome hanno tolto un po’ troppe vocali e sembra un codice fiscale. Dopo i bagordi della notte rosa, il popolo al foglio firma mostra evidenti occhiaie. Lo spettacolo della sera, un tributo magiaro a Bud Spencer e Terence Hill con annessa sfida a birra e salsicce negli stand, ha lasciato le sue stimmate. È mancata solo la classica scazzottata, ma a quella avevano già provveduto gli sprinter a Györ. Ma alla fine Sagan riparte o va a casa? Parte, seppure con evidente fasciatura sulla spalla. Lo spaccamontagne slovacco non ama recriminare. Lussato sì, piangina mai. Il crudo regolamento interno dei velocisti impone che i conti in sospeso si regolino corpo a corpo nei boulevard, non a mezzo stampa.

Pronti, via, scatti e controscatti di peones assortiti, finché all’imbocco della discesa che plana tra campi di mais e pruni selvatici sul lago Balaton non evade il grumo giusto. I più blasonati della compagnia sono Hansen e Formolo, ma la presenza di vecchie volpi come Gasparotto, Kangert, Wellens e Visconti evidenzia che l’iniziativa è seria. Il “Mar Magiaro” lo si costeggia poco, ma il traguardo intermedio sotto lo splendido monastero di Tihany regala una bella cartolina vista Balaton. Quando mancano 90 km all’arrivo il vantaggio sugli inseguitori supera i 4 minuti, la Maglia Rosa virtuale rimane biancorossoverde, ma a righe orizzontali. Ungherese di squadra polacca, Attila Valter conosce queste strade meglio del tinello di casa. «Il Balaton può essere docile o scorbutico – aveva detto alla partenza - dipende da come tira il vento». Dietro lasciano correre, la Trek Segafredo si accontenta di tenere la sua maglia rosa in linea di galleggiamento nelle prime posizioni. L’impressione è che toccherà alla squadra di Viviani darsi da fare per prosciugare la fuga.

Ed eccole, le temute raffiche di vento. Picchiano sul fianco del plotone proprio quando la foratura del giovane cannibale Evenepoel ricorda anche a chi sonnecchia dietro che la corsa è sempre corsa. Per la Deceuninck riportare sotto il suo campioncino adesso è impresa ardua. Neanche il tempo di terminare uno scollinamento ed ecco il patapumfete. Van Garderen si arrota maldestramente con Jesus Herrada e Victor Campenaerts. Il risultato della caduta è ancora, come ieri a Györ, un gigantesco groviglio di telai e corpi. Il treno Ineos, in quel frangente assestato in fila indiana proprio dietro a Van Garderen, conta diversi vagoni per terra tra cui Froome. La fa franca Carapaz, mentre Zakarin e Simon Yates rimangono illesi ma comunque coinvolti. Tra sbucciature e scricchiolii si rialzano quasi tutti. Non Amador, in rassegnata attesa dei sanitari con un vistoso sbrego sulla coscia e tante bestemmie nel suo cielo. La testa del gruppo è ormai lontana all’orizzonte, Nibali e Dumoulin tengono a bada i loro, attaccare ora vorrebbe dire lucrare sulle sfortune altrui. Sono invece gli scudieri della Cofidis e della Bora a disporre la formazione a ventaglio e a tirare forte, con l’interesse di acchiappare chi è in fuga.

Dietro ci si riorganizza, Froome può contare sui pistoni roventi di Dennis e Ganna e sulla collaborazione di altri capitani di sventura, con l’aggiunta della sopraggiunta banda Evenepoel. Allo striscione dei meno venti chilometri la distanza tra i due tronconi del gruppo oscilla intorno al minuto. Intanto i fuggitivi perdono pezzi e secondi, per spossatezza o per ordini di scuderia. La tappa è diventata cosa seria, non è più tempo di scampagnate. Prima Valter, poi Visconti e Gasparotto, azzardano tentativi solitari di allungo, ma la sparata buona è di Hansen, cui si accodano Formolo e il compagno di squadra Wellens. Il Balaton è alle spalle, il vento adesso è favorevole e spinge l’audace terzetto verso i palazzi asburgici di Nagykanizsa. Gli altri evasi vengono risucchiati dai treni di Viviani e Ackermann, ma per acchiappare la testa della corsa è ormai troppo tardi.

Wellens parte lungo per anticipare lo sprint, Formolo non resiste alla tentazione di inseguirlo e così offre la rampa di lancio a quel satanasso di Adam Hansen, di nuovo vittorioso al Giro dopo la frazione di Pescara nel 2013. Per il veronese è un piazzamento che sa di maglia rosa, in virtù dei ventisette secondi sul gruppo Nibali, conditi dall’abbuono. Lo Squalo potrà comunque stapparsi uno zibibbo stasera in albergo, nella sua Sicilia. Il gruppo dei capitombolati, con Froome, Zakarin, Yates gli paga al traguardo un gruzzolo di 31’’. La festa dura meno di un amen, i girini vengono impacchettati sui bus in direzione aeroporto. Il charter per Palermo ha già il motore acceso, c’è solo da aspettare la maglia nera del Giro d’Italia. Che è passata dalle spalle inesperte di Maestri a quelle del più autorevole compagno Matteo Pelucchi. Anche là dietro si comincia a fare sul serio.

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Questa maglia sarà firmata dal vincitore di tappa e messa all’asta per beneficienza alla fine del Senzagiro. Design curato da Fergus Niland, Creative Director di Santini Cycling Wear, su disegno dell'illustratore Mauro Mazzara.

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